Franca Bettoja


Come vi siete conosciuti lei e Ugo?

All’inizio era un signore che mi faceva la corte, ma a me la cosa non divertiva molto, perché io ero fidanzata ed ero presa da tutt’altre faccende. Lui era un amico di famiglia, conosceva i miei e quando veniva da Milano era nostro ospite. Io però allora uscivo col mio fidanzato e lo lasciavo a casa a passare tutta la serata con mio padre. Qualche volta andava a ballare con mia sorella: le feste a Cortina d’Ampezzo, per esempio, se l’è fatte tutte con lei, credo di avere ancora le foto di lui che balla con mia sorella ed i miei amici. Ma non con me. Io dicevo buona sera e poi me ne andavo. È stato molti anni dopo che, incontrandoci di nuovo, abbiamo iniziato la nostra storia: c’è stato un periodo in cui mi ha fatto la corte, proprio come si faceva negli anni ’60, con lui che mi mandava fiori, coi pensierini o la poesia. Ma tutto è stato molto sopito, perché la nostra storia non mi andava, in quanto signorina di buona famiglia e attrice con una mia vita privata.

Caratterialmente era molto generoso ed estremamente candido. Mi ricordo che gli dicevo: ma perché non vai in giro con un giglio in mano? Era una delle persone più oneste che abbia mai conosciuto, anche da ragazzo. Lo era in tutte le sue manifestazioni: diceva sempre quello che pensava, ammetteva sempre i propri sbagli perché ne faceva uno ogni due minuti, ma li pagava tutti di persona. E credo che questa sua estrema onestà dovesse dare un po’ fastidio a certe persone di un giro dove tutto è in gran parte sommerso, dove si fa tutto di nascosto. Io gli dicevo sempre: «ma Ugo, probabilmente anche un cardinale ha l’amante, possibile che solo quando ce l’hai tu dobbiamo finire su tutte le riviste? Ma non riesci a vederti in un angoletto? Possibile che lo so prima io di te? Fatti furbo…»

Lei ha preso parte alla realizzazione di "Il fischio al naso". Che ricordo ha di quella seconda esperienza da regista di Tognazzi?

Il film era bellissimo, ma dissero che era presuntuoso. Ugo però non lo era. Certo, voleva parlare della morte e siccome veniva prevalentemente da un cinema più leggero non sembrava argomento suo. Io “Il fischio al naso” l’ho davvero vissuto in prima persona: ho collaborato alla sceneggiatura, battevo a macchina i testi, nelle pause facevamo le frittate, i liquori, le marmellate. Mi ricordo che ho scritto la parte di Giovanna senza capire che ero io, e alla fine Ugo mi disse: «Ma come, non l’hai capito che sei tu?». Insomma l’ho vissuto dai pezzi di carta al doppiaggio. Mi ricordo che ho scoperto d’aspettare Gianmarco un giorno che sono svenuta mentre eravamo al doppiaggio… L’ho anche interpretato, naturalmente, e alla fine ho deciso che non avrei mai più lavorato per Ugo: non reggevo la sofferenza di vedere Ugo impegnato come regista, con l’angoscia della produzione che gli stava alle costole, con lui che diceva di dover concedere qualcosa al produttore e poi s’arrabbiava perché aveva chiesto un corridoio e gli avevano dato un angoletto. E quando poi toccava a me recitare, ero così presa da tutto che mi buttavo davanti alla macchina da presa quasi senza passare al trucco, per agevolare Ugo che intanto era preso dalla frenesia di girare in tempo perché entro due minuti bisognava staccare la luce… Alla fine glielo fecero uscire a giugno e per lui fu una vera sofferenza.

Ma lui credeva nell'idea di fare anche il regista dei suoi film, o si trattò solo di alcune avventure?

Per lui non è che la regia fosse una vera passione, però aveva delle idee che gli piacevano moltissimo e che voleva realizzare a modo suo.

Un grande rimpianto di Ugo Tognazzi è sempre stato il film mancato con Federico Fellini, "Il viaggio di Mastorna". Ci può raccontare come andarono le cose?

Un giorno Fellini, che era molto amico di Ugo, venne a trovarci alla casa di Piazza dell’Oro per parlarci del Mastorna e tornò per quattro o cinque sere a cena per raccontarci del film. Ogni volta si esaltava di più, anche perché dalla finestra di quella casa si vedeva la Chiesa del Fiorentino con le statue e gli angeli e succedeva che, appena si apriva la finestra del balcone, la meravigliosa fantasia di Federico partiva: si entusiasmava immaginando il suo film e tutti noi stavamo sino all’alba a parlare come quattro esaltati di questo film da fare assolutamente. A un certo punto accadde che Fellini si ammalò: non si sapeva bene di cosa, rimase un mistero, fatto sta che sparì del tutto e si iniziò a dire che il film sarebbe saltato. Ricordo che allora Ugo cadde in una stato di avvilimento incredibile: iniziò a rifiutare tutte le offerte che gli venivano; smise persino di tagliarsi la barba in attesa che Fellini si facesse di nuovo vivo: alla fine sembrava Garibaldi… Ricordo che una volta andammo anche a trovarlo a casa e Ugo gli portò le uova fresche, il pollo ruspante… Ma Federico non diede più notizie e, alla fine, del film non se ne fece più nulla. Tra Ugo e Federico non ci fu mai una spiegazione, la cosa andò a morire così com’era nata, lasciandoci in bocca il sapore di tutti i racconti esaltati di Federico. Qualcuno alla fine ci rivelò a mezza voce che la cartomante alla quale Federico e Giulietta Masina si affidavano aveva detto a Federico «Questo film ti porterà alla tomba», e lui non volle più farlo…

Quali sono stati i momenti di maggior emozione nella carriera di Ugo Tognazzi?

Io ricordo ancora Ugo con due grandi emozioni nella sua carriera: per “La Califfa” di Bevilacqua, che coincise con un periodo molto felice della sua vita; e prima ancora per “L’immorale” di Germi. Questa è stata la prima volta che l’ho visto alzarsi la mattina e prepararsi per andare al lavoro con un impegno incredibile perché invece lui, normalmente, si alzava e stava sino all’ultimo in giro a prendere il caffé, leggere il giornale, come se dovesse andare in ufficio invece che sul set a recitare… Invece ricordo che quando lavorò con Germi partiva molto teso.

Poi ci fu anche il premio a Cannes nell' '81 per "La tragedia di un uomo ridicolo" di Bernardo Bertolucci.

Già lavorare con Bertolucci fu per lui una grande emozione. Quando poi prese il premio a Cannes fu felicissimo, anche perché già altre volte si era avvicinato senza riuscirci. Mi dissero addirittura che aveva fatto la verticale nei corridoi dell’albergo! Sembra che l’abbia tirato giù Bertolucci, perché non riusciva più a tornare indietro… Più tardi, però, disse: «Mi sa che ‘sto premio non porta bene… Quando prendi questi premi poi per un pò non si lavora…»

Nel 1965, invece, era stato Antonio Pietrangeli a fargli vincere in Nastro d'Argento per il suo cammeo in "Io la conoscevo bene". Ci può raccontare come nacque quella memorabile partecipazione?

Mi ricordo che Pietrangeli venne a casa per chiedergli se poteva fare un cameo nel suo film e Ugo gli disse: «Ma come faccio? Sto già facendo due film contemporaneamente, il terzo non ci può entrare…» E poiché Pietrangeli insisteva, dicendo che si trattava solo di uno sketch di un vecchio attore, che non avrebbe richiesto più di due o tre ore di lavoro e che bastava che s’inventasse qualcosa, alla fine Ugo accettò. Mi ricordo che passò la notte a pensare cosa poteva fare e poi si alzò dicendo: «Potrei fare il trenino». Chiamò Pietrangeli e si mise d’accordo per girare di notte, perché di giorno già lavorava agli altri due film. Così una notte andò e fece il trenino: tornò a casa con l’affanno, dicendo che non era più allenato per quelle cose… Guardate però che cosa è venuto fuori da quel cammeo!

Qual era lo stimolo principale per Ugo?

Se non c’era rischio, Ugo non accettava. Prendete “Il petomane”, per esempio: Ugo ha fatto quel film perché c’era il rischio di andare contro un tabù, parlare di qualcosa che i più ritenevano volgare. Voleva fare un film che parlava di scoregge ma con poesia. Infatti il film in fin dei conti era delicato, non era così volgare come il titolo e il manifesto davano a vedere. Mi ricordo anzi che, quando Ugo vide il manifesto che stava a Piazza dei Cinquecento ricordate?… quello con lui leggermente piegato in avanti e il fumo che gli usciva dal sedere… gli venne quasi un attacco epilettico!

E poi gli piaceva cambiare continuamente. A Ugo i seguiti del “Vizietto” di “Amici miei” non sono mai piaciuti. Del resto quesra era una caratteristica che si portava anche nella vira di tutti i giorni: se per esempio tu gli dicevi: «Che buone queste scaloppine, me le rifai venerdì?», lui il venerdì ti faceva trovare le polpette… E se gli chiedevi perché non aveva rifatto le scaloppine, ti rispondeva: «Abbiamo visto che sono andate bene e allora facciamo un altro esperimento»… Così era anche nel cinema.

E in politica com'era?

Non faceva parte di nessun partito, ma si faceva coinvolgere senza neanche sapere in che cosa. Mi ricordo che quando avevamo la casa in Piazza dell’Oro lui ogni tanto arrivava e mi diceva con la faccetta candida: non ti arrabbiare, ma oggi mi hanno mandato una strafiga alta quattro metri con la minigonna e tutto il resto… e sono dovuto andare a sfilare per il tal partito, o per i sindacati… Per esempio, arrivava qualcuno del Partito Comunista e gli diceva che bisogna marciare per i lavoratori, e siccome non ci mandavano a dirglielo un signore grassoccio, ma una signorina scosciata… lui ci andava. Poi gli chiedevi dov’era stato e lui diceva: «non ho capito bene, era un corteo… Però ho beccato un sampietrino in testa…».

E delle foto per "Il Male" come capo delle Brigate Rosse cosa ricorda?

Un giorno lo vedo in casa che sta facendo delle foto, gli chiedo cosa stesse facendo e lui mi risponde candidamente: «Niente, faccio delle foto…». Una settimana dopo, di mattina, mi telefonano a casa, a Velletri, dove stavamo, e mi dicono di andare di corsa a prendere i ragazzi a scuola e di chiudermi al più presto in casa, perché era successo un casino. Io, senza neanche capire, corro a scuola e andando vedo nelle edicole le prime pagine dei giornali con le foto e i titoli di Ugo arrestato dalla polizia come capo delle Brigate Rosse… Pensa che sono arrivati davanti a casa con i forconi! Vai a spiegare a quelli che era solo uno scherzo…

Com'era coi colleghi al di fuori del lavoro? Soffriva la rivalità?

Nei primi anni c’era la gara con Walter Chiari, perché erano i due emergenti, e credo che quando Walter è uscito con Ava Gardner a Ugo gli abbia rosicato non poco… Walter del resto era un po’ uno come lui, che le cose le diceva in faccia, sicché alla fine si capivano… Mi ricordo poi che quando Manfredi vinse in premio con “Per grazia ricevuta”, Ugo gli mandò un telegramma che diceva: «Sto schiattando d’invidia». Ma non è vero quello che si dice, che Ugo e Manfredi non andavano d’accordo, al massimo c’era un aperto sfottò. Certo, caratterialmente non erano uguali, però non è che ci fosse rivalità: al massimo avevano notato che non si prendevano e ci si divertivano anche loro… Con Paolo Villaggio invece c’era un rapporto diverso: lui e Ugo non hanno mai lavorato insieme, ma si conoscevano da sempre. Quando Ugo lo vide per la prima volta in Tv nei panni del presentatore tedesco che urlava contro gli spettatori disse che era un genio e volle conoscerlo assoluramente. E poi hanno passato la vita a farsi l’un l’altro scherzi veramente atroci…