Cinema


Ugo e il cinema


Ugo Tognazzi fa il suo esordio nel cinema nel 1950 con “I cadetti di Guascogna” di Mario Mattoli, ispirato all’omonima canzone di Fragna, Larici e Rastelli, sceneggiato da Vittorio Metz e da Marcello Marchesi (che aveva scritto i testi per la rivista “Viva le donne”, con cui Ugo aveva debuttato nel varietà, stagione ’45-’46). Alla sceneggiatura collaborano perfino Age e Scarpelli. Il film, però, non viene molto apprezzato dalla critica:

«Destinato a palati facilissimi» Gianluigi Rondi
«Offesa rivolta al buon cinema» Renato Morazzani – Pietri
«Vecchio sketch stiracchiato all’inverosimile» Mario Landi

Il pubblico, invece, gradì molto e il film fu settimo per incassi nella stagione 1950-’51. Bisogna dire che negli anni del dopoguerra ci fu effettivamente un travaso di attori e autori dalla rivista o dall’avanspettacolo al cinema, e non sempre le battute, le parodie o gli interi numeri riportati su pellicola avevano l’impatto che in teatro fu innegabile. Anche i critici più severi, comunque, ebbero una nota positiva solo per Tognazzi e Walter Chiari: «coppia indovinata».
Gli anni successivi videro Tognazzi impegnato su tutti i fronti: teatro, televisione, come abbiamo visto, e anche cinema:

1951
– “Auguri e figli maschi” di Giorgio Simonelli, con Delia Scala
– “La paura fa 90”, sempre di Simonelli, con Silvana Pampanini

1952
– “Una bruna indiavolata” di Carlo L. Bragaglia, con la Pampanini

1953
– “L’incantevole nemica” di Claudio Gora, sempre con la Pampanini e addirittura Buster Keaton (da un soggetto dei soliti Metz e Marchesi, sceneggiato da Age e Scarpelli)
– “Se vincessi cento milioni” di Carlo Moscovini, con Milly Vitale
Dal 1954 (l’anno della rottura con la RAI) Tognazzi, dapprima con le sue fide “spalle” teatrali (Campanini e Taranto), poi sempre in coppia con Vianello, gira una quarantina di film in soli sei anni.

Sono anni di superlavoro in film, a volte sgangherati e banali, altre di una demenzialità surreale e moderna, che comunque riflettono bene il clima di quegli anni. Anni di sollievo e voglia di ridere, anche in modo semplice, dopo le privazioni e gli orrori della guerra. Così, allora, ben vengano:

1954
– “Cafè Chantant” di Camillo Mastrocinque, con Alberto Talegalli
– “Siamo tutti milanesi” di Mario Landi, con Carlo Campanini
– “Milanesi a Napoli” di Enzo Di Gianni, con Campanini e Taranto
– “Sua Altezza ha detto: No!” di Maria Basaglia, con Elena Giusti
– “Assi alla ribalta” di Ferdinando Baldi, con Croccolo e Vianello

1955
– “Ridere ridere ridere” di Emilio Antonelli, con Billi e Riva
– “La moglie è uguale per tutti” di Giorgio Simonelli, con Nino Taranto

1956-’57
Nel 1958 torna al cinema con Totò nella “Luna di Steno”, da un soggetto dello stesso Steno e Lucio Fulci, sceneggiato con Sandro Continenza ed Ettore Scola. Pur firmato da egregi professionisti, e con il grande Totò, il film non ottiene comunque critiche troppo positive:
«Totò e Tognazzi stimolano l’allegria maliziosa e scollacciata del solito spettacolo da rivista» Arturo Lanocita
«i due comici si prodigano nel loro repertorio con duetti abbastanza saporiti» Leo Pestelli
E ancora, nello stesso anno:

1958
– “Domenica è sempre domenica” di Camillo Mastrocinque, con Alberto Sordi, Mario Riva e Vittorio De Sica
– “Mia nonna poliziotto” di Steno, con Tina Pica, Billi e Riva, Alberto Lionello
– “Marinai donne e guai” di Simonelli, con Maurizio Arena e la Masiero
– “Il terribile Teodoro” di Roberto Montero, con Nino Taranto e Riva

1959
– “Fantasmi e ladri” di Simonelli, con Riva, la Pica e Talegalli
– “Non perdiamo la testa” di Mario Mattoli, con Franca Valeri
– “Psicanalista per signora” di Jean Boyer, con Fernandel
– “La Pica sul Pacifico” di Roberto Montero, con la Pica e Carotenuto
– “Le cameriere” di Carlo L.Bragaglia, con la Ralli e Valeria Moriconi
– “Guardatele, ma non toccatele!” di Mario Mattoli, con Dorelli e Vianello
– “La sceriffa” di Roberto Montero, con la Pica e la De Mola
– “Noi siamo due evasi” di Simonelli, con Magali Noel e Vianello
– “La cambiale” di Mastrocinque, con Totò, Vianello e Gassman
– “Tipi da spiaggia” di Mattoli, con la Masiero e Dorelli
– “La duchessa” di Santa Lucia di Montero, con la Pica e Maurizio Arena

1960
– “Genitori in blue-jeans” di Mastrocinque, con Peppino De Filippo
– “Tu che ne dici?” di Silvio Amadio, con Vianello e Fred Buscaglione
– “Il mio amico Jekyll” di Marino Girolami, con Vianello e Croccolo
– “Le Olimpiadi dei mariti” di Giorgio Bianchi, con Vianello
– “A noi piace freddo” di Steno, con Vianello e Peppino De Filippo
– “Un dollaro di fifa” di Simonelli, con Walter Chiari e Carotenuto
– “Il principe fusto” di Maurizio Arena, con Arena e Lorella De Luca
– “I Baccanali di Tiberio” di Simonelli, con Chiari e Tino Buazzelli
Anni pieni di titoli, come si vede, che però così vengono recensiti:
– “I Baccanali”: «tenue pretesto per una serie di episodietti da avanspettacolo, si ride poco nonostante la simpatia per Chiari e Tognazzi»
– “A noi piace freddo”: «immancabile travestimento da donna del solito Tognazzi, si finisce nella farsa più sconclusionata»

1961
– “Femmine di lusso” di Giorgio Bianchi, con Belinda Lee e Chiari
– “Cinque marines per cento ragazze” di Mattoli, con Virna Lisi
– “Sua Eccellenza si fermò a mangiare” di Mattoli, con Totò
– “Gli incensurati” di Francesco Giaculli, con Peppino De Filippo
– “Psycosissimo” di Steno, con Vianello
– “I magnifici tre” di Simonelli, con Vianello, Chiari e Aroldo Tieri
– “La ragazza di mille mesi” di Steno, con Vianello
– “Pugni pupe e marinai” di Daniele D’Anza, con Gloria Paul, Paolo Ferrari, Alberto Bonucci, Franchi e Ingrassia
– “Che gioia vivere” di René Clement, con Alain Delon, Gino Cervi, Rina Morelli e Paolo Stoppa

Anche i film del ’61, ottengono critiche feroci:
– “Psycosissimo”: «consueto repertorio farsesco» e «rispetto a Tognazzi e Vianello, Jerry Lewis sembra avere la statura di un maestro della commedia»
– “Sua Eccellenza si fermò a mangiare”: «senza Totò sarebbe il deserto» e «scherzi volgarucci»
I magnifici tre: «tre comici per non far ridere» «repertorio abusato» Chiari Tognazzi e Vianello
E forse, quindi, non è un caso se proprio in quell’anno 1961 avviene la svolta. Ugo Tognazzi ha trentanove anni, dei quali venti trascorsi su tutti i palcoscenici d’Italia in ogni genere di spettacolo: una bella gavetta! Ha una cinquantina di film al suo attivo… A questo punto, c’è palesemente in lui una crescente insofferenza verso schemi ormai logori. È stanco di indossare maschere scontate, ha voglia d’altro.
Nel 1961 Ugo Tognazzi sceglie di interpretare un film di Luciano Salce senza il fido Vianello. Che succede? È la svolta nella carriera di Tognazzi, che non farà più nemmeno un film con i registi con i quali ha lavorato (e quanto!) finora.
Da solo, senza le abituali spalle comiche, intraprende un nuovo cammino: esce dal cinema macchietta ed entra nella commedia all’italiana, la stagione a tutt’oggi più felice del cinema italiano del dopoguerra. Non è che smetta di far ridere, ma è un riso, scusate la citazione, davvero amaro. È commedia nel senso più vero e fedele alle origini della parola: la commedia che dilettando ammaestra, secondo la formula di ciceroniana memoria, che fa ridere e fa pensare, che insegna qualche piccola verità senza annoiare, tutt’altro.
Siamo del resto in quegli anni Sessanta, in cui l’intera società civile sta cambiando e con la fine del centrismo termina anche la sostanziale rimozione di ogni discorso sul periodo fascista. C’è nella coscienza collettiva la necessità di ricordare e analizzare per poter andare avanti nella costruzione di una società rinnovata e finalmente aperta a grandi forze popolari, finora prive di voce.
Accanto ai grandi affreschi, ai film di tono, per così dire, “alto”, come “Tutti a casa” o “La lunga notte del ’43”, spuntano anche il sorriso e lo sberleffo di Salce e Dino Risi, due registi particolarmente congeniali a Tognazzi.
Ed è “Il Federale”, sceneggiato da Luciano Salce con Castellano e Pipolo, che determina la svolta nella carriera di Tognazzi. Si tratta di un film anche duro, tanto da spaventare il figlio di Ugo, Ricky, allora ragazzo. Il quale ricorda però anche l’orgoglio e il coraggio del padre per la scelta di un film non solo “comicarolo”, ma amaro e profondo, che pure mantiene spunti divertenti. Un film che confermò in Tognazzi l’idea di costruire un personaggio d’ora in poi e non solo una macchietta.
Con Salce, in quegli anni, Tognazzi girerà ancora alcuni più o meno riusciti film, quali:

1962
– “La voglia matta”, sceneggiato con Castellano e Pipolo, con Catherine Spaak e Gianni Garko
– “La cuccagna”, sceneggiato con Vincenzoni, Parise e Carlo Romano, con Donatella Turri e Luigi Tenco

1963
– “Le ore dell’amore”, sceneggiato con Castellano e Pipolo, con Emmanuele Riva, Barbara Steele, Mara Berni
L’altro regista che in quegli anni riuscì a dare a Tognazzi opportunità preziose per la sua rinnovata comicità graffiante fu Dino Risi. Amico e sodale, capace di grande interscambio con l’attore, Risi firma due dei capolavori della commedia all’italiana:

1962
– “La marcia su Roma” scritto da Scola e Maccari, Age e Scarpelli, Continenza e De Chiara, infine amalgamato da Risi, con Vittorio Gassman

1963
– “I Mostri”, soggetto di Age e Scarpelli ed Elio Petri, sceneggiatura di Scola e Maccari, sempre con Gassman.
I due film, ma soprattutto il secondo, segnano un punto d’arrivo nell’evoluzione dell’attore Tognazzi, che ha come antagonista e comprimario il grande Gassman e dà il meglio di sé in una gara di bravura finita senza dubbio con un punteggio di parità. Parità fra due grandi attori e due grandi amici, che si volevano bene e si stimavano profondamente.
«…in condizione di emularsi in una prova di abilità come è quella di trasformarsi ciascuno in una serie di personaggi diversi… Tognazzi davvero sempre più bravo e sorprendente…» Gian Maria Guglielmino

I due film ebbero un successo anche commerciale, specialmente “I Mostri”, che risultò secondo negli incassi della stagione 1963-’64; ebbe anche un’edizione televisiva nel ’77, e nello stesso anno un seguito: “I nuovi mostri”, con la regia di Monicelli, Risi e Scola, su soggetto e sceneggiatura di Age e Scarpelli, Maccari e Zapponi. Appartiene a questo seguito uno dei pezzi memorabili nella carriera di entrambi gli attori: la esilarante rissa nella cucina dell’osteria fra Tognazzi e Gassman.
L’attore lavora ormai a pieno regime, anche tralasciando qui i film che Tognazzi fece come regista:

1962
– “Una domenica d’estate” di Giulio Petroni, con Raimondo Vianello e Annamaria Ferrero

1963
– “Rogopag” di Roberto Rossellini, Ugo Gregoretti, Pier Paolo Pasolini, Jean-Luc Godard, con Orson Welles, Rosanna Schiaffino, Lisa Gastoni, Laura Betti
– “I fuorilegge del matrimonio” di Valentino Orsini e Paolo e Vittorio Taviani, con Annie Girardot e Romolo Valli
– “Liolà” di Alessandro Blasetti (dall’omonima commedia di Pirandello), con Giovanna Ralli, Pierre Brasseur e Anouk Aimée
– “La vita agra” di Carlo Lizzani (dall’omonimo romanzo di Luciano Bianciardi), con Giovanna Ralli

Film non banali, film a volte “rischiosi” , per esempio, “I fuorilegge del matrimonio”, girato in appoggio della legge sul divorzio. Ma perché Tognazzi aveva scelto un film che potremmo definire di impegno sociale? Calcolo di professionista esperto o coraggio di uomo essenzialmente libero? Eppure, non fu quello che all’epoca si sarebbe detto un attore “impegnato”. L’impegno di Ugo Tognazzi, forse, stava in un’ostinata aderenza alla realtà o, come diceva lui, all’attualità… in un suo speciale sentimento del tempo, che lo portò in pochi anni, ad aggiungere per sempre, nella grande saga della commedia all’italiana, alla maschera di Sordi, Gassman e Manfredi, la sua straordinaria maschera che sa di scalogno, la cipolla del nord che Ugo amava, una faccia nella quale si coglie da un particolare solo, come uno sguardo obliquo, la piega delle labbra, il modo di tenere la testa, quasi sempre piegata da una parte, la connotazione di un personaggio. Piccole cose, che però sullo schermo danno grandi frutti.
Se nella grande stagione della commedia all’italiana Tognazzi ebbe la sua più notevole affermazione professionale con ritratti indimenticabili di qualunquista protervo, marito in crisi o mostro sociale, il suo volto ha però anche rappresentato (pensiamo alla “Vita agra”) quel provinciale pulito, legato ai sapori e ai colori della propria terra, che Ugo in fondo poi era. Il provinciale che nella grande città ancora si sente a disagio, idealista annichilito e coinvolto nei meccanismi di quella società che vorrebbe combattere.
Sono gli anni del boom economico, cambiano le condizioni e gli stili di vita, cambiano i valori… E Tognazzi, sempre al passo, sembra disegnare con particolare efficacia un personaggio di piccolo borghese arrampicatore, un po’ per bene e un po’ furbo di necessità… quasi sempre a disagio nei rapporti di coppia, mai in sincronia con i tempi e i desideri della donna, la quale sta profondamente cambiando: lavora e vuole contare di più, chiede la parità dei diritti, fa saltare secolari schemi. E il piccolo uomo Tognazzi arranca, nei film di Marco Ferreri:

1964
– “Una storia moderna: l’ape regina”, sceneggiato da Ferreri con Parise, Azcona, Festa Campanile, Franciosa e Fabbri, con Marina Vlady

1965
– “La donna scimmia”, sceneggiato da Ferreri con Rafael Azcona, con Annie Girardot
– “Oggi, domani, dopodomani”, sceneggiato da Ferreri con Azcona (episodio con Tognazzi: “L’uomo dai cinque palloni”), con la Spaak

1966
– “La marcia nuziale”, sceneggiato da Ferreri con Azcona e Diego Fabbri, con Gaia Germani
Film davvero memorabili, frutto di una collaborazione feconda nata da una grande amicizia personale e un comune amore per la rappresentazione bizzarra di quel tanto di mostruoso che esiste in ognuno di noi. Il primo fu premiato a Cannes, dopo essere stato osteggiato dalla censura italiana. Quasi unanimi le critiche positive. Del resto Tognazzi è ormai riconosciuto un po’ da tutti come grande interprete, anche nel successivo La donna scimmia:
– «Tognazzi, forse alla sua prova più alta» Ugo Casiraghi
– «la migliore prova della maturità raggiunta dall’attore nel controllo delle sue risorse espressive» Vittorio Spinazzola
– «esemplare nella sua ambiguità di uomo medio» Tullio Kezich
Sempre in quegli anni, interpreta anche:

1964
– “Il magnifico cornuto” di Antonio Pietrangeli (da Le cocu magnifique di Crommelinck), sceneggiato da Fabbri, Maccari, Scola e Strucchi, con Claudia Cardinale, Salvo Randone e Gianmaria Volonté
Il film ebbe un inaspettato ed enorme successo commerciale, nonché di critica:
– «Tognazzi si prodiga al limite delle proprie possibilità» Alberto Moravia
– «Partito dalla farsa più guitta, è approdato al grottesco, al dramma più paradossale, alla tragicommedia con ottimi risultati, rivelandosi sempre di più, e qui più che altrove, un attore di consumata scienza e sapienza, pronto ormai ad imprese anche più difficili» Gian Luigi Rondi

1965
– “I complessi” (episodio “Il complesso della schiava nubiana” di Franco Rossi), con Paola Borboni e Claudio Gora

1966
– “I nostri mariti” (episodio “Il marito di Attila” di Dino Risi)

1967
– “L’immorale” di Pietro Germi, sceneggiato da Germi con Alfredo Giannetti, Pinelli e Bernari, con Stefania Sandrelli

1968
– “Straziami ma di baci saziami” di Dino Risi, sceneggiato da Risi con Age e Scarpelli, con Nino Manfredi
– “La bambolona” di Franco Giraldi (dall’omonimo romanzo di Alba De Cespedes), sceneggiato da Giraldi con Maccari, con Isabella Rei

1969
– “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni, con Manfredi e la Cardinale
– “Il commissario Pepe” di Ettore Scola (dall’omonimo romanzo di Ugo Facco De Lagarda) sceneggiato da Scola e Maccari, con Silvia Dionisio

Con il film di Ettore Scola Tognazzi, dopo una serie di interpretazioni un po’ di contorno, torna ad essere protagonista assoluto. Il film ottiene un grande successo commerciale e di critica:
– «Interpretazione fra le sue migliori, controllata e acuta» Pietro Bianchi
– «Garbato, misurato, convincente» Claudio G. Fava
– «Dove manca Tognazzi, il film cade di tono» Maurizio Negri
Sempre nel 1969 è, insieme all’amico Marco Ferreri, a Pierre Clementi, a Jean Pierre Léaud, ad Alberto Lionello e Ninetto Davoli, in “Porcile” di Pier Paolo Pasolini. Esperienza interessante per Tognazzi, che si sentiva «un analfabeta di fronte a Pasolini e alla sua cultura», ma non tanto da rinunciare ad un giudizio tranchant sul prodotto: «non un grande film».
L’attore è ormai privo di complessi, se mai ne ha avuti, e gioca a tutto campo, sapendo di potersi permettere qualsiasi scorribanda. Partecipa generalmente a film di buon livello qualitativo, come:

1970
– “Splendori e miserie” di Madame Royale di Vittorio Caprioli, sceneggiato da Caprioli con Enrico Medioli e Bernardino Zapponi
– “Cuori solitari” di Franco Giraldi, sceneggiato da Giraldi e Maccari, con Senta Berger
– “Venga a prendere il caffè da noi” di Alberto Lattuada, (dal romanzo “La spartizione” di Piero Chiara) sceneggiato da Lattuada con Chiara, Kezich e Baracco, con Milena Vukotic
– “La Califfa” di Alberto Bevilacqua, (dal suo omonimo romanzo), con Romy Schneider e Marina Berti

1971
– “La supertestimone” di Franco Giraldi, sceneggiato da Tonino Guerra, Ruggero Maccari e Luisa Montagnana, con Monica Vitti
– “In nome del popolo italiano” di Dino Risi, sceneggiato da Age e Scarpelli, con Vittorio Gassman
– “Questa specie d’amore” di Alberto Bevilacqua, (dal suo omonimo romanzo) con Jean Seberg e Ewa Aulin

1972
– “Vogliamo i colonnelli” di Mario Monicelli, sceneggiato da Monicelli, Age e Scarpelli, con Duilio Del Prete
E se, a volte, i film suscitano critiche o riserve, l’attore colleziona i seguenti aggettivi di riconoscimento: controllato, persuasivo, vitalista, straordinario, sarcastico, espressivo, efficace, saporito, esatto, gustoso, corposo, strepitoso…
Ma è ancora con Marco Ferreri che abbiamo le interpretazioni migliori di quegli anni:

1971
– “L’udienza”, sceneggiato da Ferreri con Dante Matelli, con la Cardinale, Gassman, Michel Piccoli, Enzo Jannacci

1972
– “La grande abbuffata”, sceneggiato da Ferreri con Azcona, con Mastroianni, Michel Piccoli, Philippe Noiret, Andrea Ferreol

1975
– “Non toccare la donna bianca”, sceneggiato da Ferreri con Azcona, con Catherine Deneuve, Mastroianni, Piccoli, Noiret
Film esagerati e paradossali, indimenticabili. Con un Tognazzi in stato di grazia, specie nella Grande Bouffe, in cui come maitre ha nelle sue mani l’arma del suicidio collettivo dei quattro amici, che poi sono come un solo personaggio: la società borghese autodistruttiva, come diceva Ferreri del suo film anticonsumista (e il peggio doveva ancora venire!).
E poi:

1973
– “La proprietà non è più un furto” di Elio Petri, sceneggiato con Ugo Pirro, con Flavio Bucci, Daria Nicolodi, Mario Scaccia, Gigi Proietti

1974
– “Permettete, signora, che ami vostra figlia?” di Gian Luigi Polidoro, con Bernadette Lafont, Franco Fabrizi,
– “Romanzo popolare” di Mario Monicelli, sceneggiato con Age e Scarpelli, con Ornella Muti e Michele Placido

1975
– “Amici miei” di Mario Monicelli, sceneggiato da Pietro Germi, Tullio Pinelli, Benvenuti e De Bernardi, con Gastone Moschin, Philippe Noiret, Adolfo Celi, Bernard Blier, la Vukotic e Duilio Del Prete
– “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone” di Pupi Avati, sceneggiato con Gianni Cavina e Antonio Avati, con Paolo Villaggio, Delia Boccardo, Gianni Cavina,

1976
– “Telefoni bianchi” di Dino Risi, sceneggiato con Maccari e Zapponi, con Agostina Belli, Cochi Ponzoni, Maurizio Arena, Gassman
– “Signore e Signori buonanotte” di Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ettore Scola, sceneggiato da Age e Scarpelli, Benvenuti e De Bernardi, Maccari e Pirro, con Senta Berger, Adolfo Celi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Paolo Villaggio

1977
– “La stanza del vescovo” di Dino Risi (dall’omonimo romanzo di Piero Chiara) sceneggiato con Chiara, Benvenuti e De Bernardi, con Ornella Muti, Patrick Dewaere
– “I nuovi mostri” di Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, sceneggiato da Age e Scarpelli, Maccari, Zapponi, con Gassman, la Muti, Alberto Sordi
– “Casotto” di Sergio Citti, sceneggiato con Vincenzo Cerami, con Jodie Foster, Catherine Deneuve, Mariangela Melato, Placido, Proietti

1978
– “Il gatto” di Luigi Comencini, sceneggiato da Sonego, Augusto Caminito e Fulvio Marcolin, con Mariangela Melato, Michel Galabru
– “Primo amore” di Dino Risi, sceneggiato con Maccari, con Ornella Muti, Mario Del Monaco, Il vizietto di Edouard Molinaro (dalla commedia di Jean Poiret (La cage aux folles) sceneggiato con Poiret, Francis Veber, Marcello Danon, con Michel Serrault
Negli anni Settanta Tognazzi è sulla cinquantina ed è arrivato al culmine della sua carriera cinematografica, ma si capisce che è inquieto, insoddisfatto. Forse teme di non essersi realizzato pienamente, di essere costretto a ricorrere, talvolta, ai suoi personaggi-macchietta degli anni della giovinezza. Eppure sono anni di film memorabili come “Amici miei” e “Il vizietto”. Con Il vizietto arrivano riconoscimenti anche internazionali, pubblico e critica concordano: la maturità artistica, la finezza della capacità espressiva, il grande equilibrio, che dimostra in parti che potrebbero facilmente scadere nella volgarità e che restano invece interpretazioni da manuale, sono evidenti a tutti.
Tuttavia, anche se mette a segno colpi magistrali, Tognazzi risente, come tutti, del pesante clima venuto a determinarsi a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Anni in cui si vive nel cinema una vera e propria recessione: la produzione viene dimezzata, molte sale vengono chiuse, il pubblico resta in casa davanti al televisore che, per la riforma del ’76 e l’apertura ai privati, offre maggiori possibilità di scelta. Ognuno pensa a sé e, dopo il periodo della socializzazione e dell’impegno, si astrae da una realtà difficile da vivere e ancor più da rappresentare. È il cosiddetto riflusso…Una generazione intera sembra non divertirsi più e se ride, ride amaro…
Sono gli anni di:

1980
– “La terrazza” di Ettore Scola, sceneggiato con Age e Scarpelli, con Gassman, Jean Louis Trintignant, Mastroianni, Serge Reggiani

1981
– “La tragedia di un uomo ridicolo” di Bernardo Bertolucci, con Anouk Aimée, Laura Morante, Vittorio Caprioli, Ricky Tognazzi, Con il quale Tognazzi vince come miglior Attore La palma D’oro al festival di Cannes
A questo punto Tognazzi spera che il premio internazionale gli dia la possibilità di ricevere delle proposte stimolanti dall’estero e che il cinema italiano, (nonostante la crisi) gli riservi ancora una volta un posto di rilievo in una nuova veste, ma Tognazzi non riceve le proposte che si aspettava dal suo rilancio dopo la palma d’oro. E comunque, con il solito entusiasmo e con la capacità di rimettersi in gioco realizza:

1982
– “Amici Miei atto II” di Mario Monicelli con Adolfo Celi Renzo Montagnani, Gastone Moschin e Philippe Noiret, che bissa il successo del primo episodio

1983
– “Scherzo” di Lina Wertmuller con Piera Degli Esposti, Renzo Montagnani, Gastone Moschin
– “Il Petomane” di Pasquale Festa Campanile con Mariangela Melato Vittorio Caprioli

1984
– “Bertoldo Bertoldino e Cacasenno” di Mario Monicelli con Alberto Sordi, Maurizio Nichetti, Lello Arena
– “Dagobert” di Dino Risi , con Carole Bouquet, Coluche, e Michel Serrault
– “Fatto su misura” di Francesco Laudadio, sceneggiato con Bandini e Todini, con Lara Wendel, Ricky Tognazzi, Senta Berger, Ugo Gregoretti, Renato Scarpa
Ma in realtà le occasioni di rinnovamento sono poche, e Tognazzi deve cedere alle leggi del mercato che pian piano diventano nel nostro paese più importanti dei film stessi, dei loro autori e dei loro interpreti. Così stavolta viene trascinato nella monotonia del doversi ripetere e accetta comunque di triplicare le zingarate e i vizietti.

1985
– “Amici miei atto terzo” di Nanni Loy, con Renzo Montagnani Gastone Moschin e Adolfo Celi
– “Matrimonio con Vizietto” di Georges Lautner con Michael Serrault
Subito dopo Tognazzi si trasferisce in Francia richiesto da Cinema e teatro.

1986
– “Hyddish Connection” di Paul Boujenah con Charles Aznavour e Vincent Lindon
A ridargli speranza in patria l’anno successivo sarà Pupi Avati che gli propone “Ultimo minuto”, un film bello sul calcio, con una storia appassionante, attuale e popolare, con un’interpretazione maiuscola di Tognazzi. ciò nonostante non riceve alcuna candidatura in nessun premio nostrano, e inspiegabilmente in un paese di fanatici del pallone il film non avrà grande successo al botteghino.

1987
– “Ultimo minuto” di Pupi Avati, sceneggiato con Antonio Avati, Italo Cucci, Michele Plastino, con Elena Sofia Ricci, Lino Capolicchio, Diego Abatantuono, Nick Novecento
Incassata questa ennesima amarezza, gira i suoi due ultimi film italiani:

1988
– “I giorni del commissario Ambrosio” di Sergio Corbucci (dall’omonimo romanzo di Renato Olivieri) sceneggiato da Arlorio e Frugoni, con Claudio Amendola, Carlo Delle Piane
– “Arrivederci e grazie” di Giorgio Capitani, sceneggiato da Simona Izzo, con Ricky e Gianmarco Tognazzi, Anouk Aimée. …Che sembra davvero un saluto al nostro cinema.
Seguiranno:

1989
– “Tolerance” di Pierre-Henry Salfati con Rupert Everett

1990
– “Tamburi di Fuoco” di Uchkun Nazarov con Murray Abraham, Claudia Cardinale e Massimo Ghini