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L'AVARO (1988)
 
     
 
     
 
L'avaro  
  Titolo:
 
L'avaro  
 
  Anno:
  1988
 
  Regia:
  Mario Missiroli
 
  Con:
 
Ugo Tognazzi, Fioretta Mari, Elio Crovetto, Pier Senarica.  
 
 
     
    Interpreti e Personaggi
     
     
     
  INTERPRETI E PERSONAGGI:  
     
  L'avaro (Ugo Tognazzi), Frosina (Fioretta Mari), Elio Crovetto, Pier Senarica.  
 
 
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    Cast Tecnico
     
     
     
  CAST TECNICO  
     
  Lucio Ardenzi (produttore)  
 
 
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    Trama
     
     
     
  TRAMA  
     
  "L'avaro" è una commedia in prosa in cinque atti scritta e rappresentata da Molière a Parigi al Palais-Royal il 9 settembre 1668 e poi venne pubbicata nel 1669. È ispirata all’Aulularia di Plauto, sia in alcuni dei meccanismi più importanti della trama, sia per la caratterizzazione psicologica dell'avaro. Arpagone, il vecchio protagonista, è a dir poco odiato dai suoi due figli, Cleante ed Elisa. Cleante lo odia perché Arpagone vuole sposare la giovane e povera Marianna che lui segretamente ama; Elisa, invece, lo detesta perché vuole darla in sposa all’anziano Signor Anselmo che è disposto a prenderla senza alcuna dote. Cleante fa rubare dal suo servo, La Flèche, la cassetta dove lo stizzoso Arpagone tiene tutti i suoi averi pensando di usarla come merce di scambio con il padre per avere Marianna. Ma il padre accusa di furto il suo intendente Valerio, che da tempo ha imbastito una storia d'amore con Elisa. Tutto s'aggiusta con l'arrivo del ricco Anselmo che, invece di chiedere ufficialmente la mano di Elisa, riconosce che nella bella Marianna e nell'intendente Valerio i suoi figli, che credeva da tempo morti in un naufragio. Convolate a giuste nozze le due coppie di innamorati, Arpagone ritroverà il suo tanto bramato ed adorato tesoro. In questa commedia Molière riesce magistralmente a ridicolizzare all'estremo l'avarizia e la totale mancanza di sentimenti del vecchio Arpagone rendendole, soprattutto nelle scene in cui sono poste a confronto con gli impeti giovanili del figlio Cleante, drammaticamente amare.  
 
 
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    La Critica
     
     
     
  LA CRITICA  
     
  TOGNAZZI: CHE TRAGEDIA QUESTO MOLIÈRE  
     
  ...Ipercritico, disponibile più a sfogarsi che a farsi intervistare, Ugo Tognazzi dopo lo spettacolo, con la vestaglia che lascia intravedere la canottiera bluette, il sudore e la riga del trucco sotto l'occhio che accentua il tono drammatico dello sguardo, parla finalmente ai giornalisti, racconta ii come e il perché del profondo disagio che ha causato la rottura con Mario Missiroli: «Non sono capace di trionfalizzarmi da solo: sembro un presuntuoso, ma forse ho solo delle ambizioni. La commedia, probabilmente, andrà bene con il pubblico, ma io non posso fare a meno di pensare alle idee di partenza, al modo con cui avrebbe dovuto essere presentata». I contrasti, racconta Tognazzi, sono iniziati dal momento in cui attore e regista si sono confrontati sulla traduzione del testo, sul costumi, sulla scena. «Ogni volta che toccavo uno di questi argomenti, mi trovavo davanti sempre lo stesso interlocutore: Mario Missiroli». ...«Doveva essere uno spettacolo fondamentalmente classico, arricchito di qualche trovata, con una recitazione tra il comico e il drammatico, punteggiata da una serie di appuntamenti emotivi». E invece?: «Invece durante le prove il mio personaggio veniva a trovarsi, in mezzo a quelli degli altri attori, sempre più isolato. Mi sentivo il mondo addosso e avevo la sensazione di perdere tutti e due i toni della commedia, sia il comico che il drammatico...»  
  (Fulvia Caprara, da La Stampa)  
     
     
     
  È TROPPO SIMPATICO L'AVARO DI TOGNAZZI  
     
  Dell'Avaro di Molière, sotto la direzione artistica del suo produttore, Lucio Ardenzi, protagonista Ugo Tognazzi, posso tentare di dedurre quella che avrebbe voluto essere la regia; ed è rimasta invece, per i noti trascorsi, una semplice "idea registica" di Mario Missiroli. Sembra una commedia all'italiana vagamente amarognola, non sgradevole, né volgare. Tognazzi, non so se affaticato o preoccupato di non strafare, si cala nel suo personaggio con una correttezza che pare persin troppo compita: certo ci mostra d'essere avaro (il testo, anche se pesantemente scorciato, sta comunque lì a dimostrarlo): ma non ci mette mai un baglior livido, mai una biffatura di grottesco: mai insomma ci fa percepire quel che di mortuario e di implicitamente tragico c'è nella sua ossessione, nella sua malattia, nella sua nevrosi. È un avaro simpatico, troppo: mentre, almeno a tratti, dovrebbe esser ripugnante. Il pubblico foltissimo del Ponchielli si molto divertito e ha applaudito moltissimo. E di sicuro lo spettacolo piacerà molto. Che cosa non piace più del resto, agli spettatori d'oggi, mentalmente assopiti dal bombardamento televisivo?  
  (Guido Davico Bonino, da La Stampa)  
     
     
     
  TOGNAZZI «HO SALVATO MOLIERE»  
     
  Milano. «Il successo di pubblico è stato superiore alle mie aspettative» dice Ugo Tognazzi, impegnato al Manzoni con il travagliatissimo Avaro di Molière del quale Missiroli abbandonò la regia a 6 giorni dal debutto, a fine gennaio. Ore 18 conferenza stampa in una saletta del teatro. Durante il pomeriggio Tognazzi ha lavorato alle riprese di "Grazie, commissario", diretto da Sergio Corbucci, un "giallo" ambientato fra la questura di via Fatebenefratelli e la cintura dei paesi intorno a Milano. Arriva al Manzoni polemico, scanzonato, di ottimo umore: uno che "torna vincitor" in base al responso delle platee «che ridono nei momenti giusti, applaudono alla fine e interrompono battendo le mani pure a scena aperta». I critici no, quelli sono stati duri: «E avevano perfettamente ragione; avrei scritto anch'io le stesse cose. Solamente, non mi sarei mai posto la domanda sul come sarebbe stato lo spettacolo se Missiroli lo avesse portato a termine. Sarebbe stato molto peggio, e lo dico con cognizione di causa».  
     
     
     
  COSI' TOGNAZZI HA TRASFORMATO L'AVARO IN PICCOLO BORGHESE  
     
  CREMONA. Si legge nella ricca pubblicistica fiorita attorno al ritorno di Ugo Tognazzi al teatro, come il Nostro sia stato tentato dall'Avaro assistendo lo scorso anno a Parigi all'edizione della commedia di Molière interpretata da Michel Serrault. Anche quell'andata in scena aveva conosciuto qualche vicissitudine. Si racconta infatti che l'attore francese, "ex moglie" di Tognazzi nel "Vizietto", si sia trovato in continuo contrasto con il progetto di regia di Roger Planchon, abbia preteso e ottenuto cambi nel cast, imposto prove in rigido isolamento personale, e finalmente impedito la presenza dei critici al debutto lionese. Alla resa dei conti, il protagonista risultava un elemento estraneo allo spettacolo, che inglobava i suoi effetti comici degradati, spesso irresistibili, in un contesto drammatico e di impianto realistico. Tognazzi non lo segue sulla strada mattatoriale, come era scontato, dato che lo si conosce attore di prosa sommesso, interiore, pieno di pudori già dalle sue esperienze nel "Tartufo" molieriano, realizzato con Missiroli nel '75, e nei "Sei personaggi in cerca d'autore" parigini dell'86. Né l'attore si contrappone alla struttura di uno spettacolo che difficilmente potrebbe essere anticonvenvenzionale come il citato precedente francese, mancando da noi una tradizione interpretativa da oltraggiare. Anzi la realizzazione si presume adattata alla sua immmagine, do aver perso a metà strada la guida preordinata; e riesce imbarazzante doverne dar conto dopo l'incidente di percorso. Anche di tale vicenda tutto è stato scritto, ma non si è eliminato il rischio di perpetuare il confronto tra gli esiti e le intenzioni attribuite a Mario Missiroli, se gli fosse stato consentito di condurre a termine la sua regia. Per esempio, la traduzione firmata dallo stesso Missiroli, ci sarebbe apparsa così scalcinata e disinvolta, anche se sostenuta dall'azione a profitto della quale era stata formulata? La scenografia stilizzata con le quinte lignee a vista che sottolineano le strutture, tre porte monumentali sullo sfondo, e un accumulo di anticaglie, ori, specchi, parrucche su un tavolino al centro, forse avrebbe trovato un'utilizzazione, che ora si limita al rovesciamento delle cianfrusaglie da parte dell'Avaro derubato, quando emerge come una folgore dalla buca del suggeritore. Il recupero di questo squalificato strumento scenico del resto avrebbe potuto far pensare a una dimostrazione di vecchio teatro guitto, suffragata dalla presenza nel cast di un attore di varietà quale Elio Crovetto e di un'attrice che ostenta un marcato accento dialettale, quale Fioretta Mari. Una giustificazione forse l'avrebbe trovato pure il fatto che il cuoco-cocchiere del signor Arpagone indossi livree ottocentesche, mentre gli altri sono più o meno in abiti moderni; e avrebbe avuto uno spicco l'isolamento del protagonista in un coro di giovani, al livello dei person dei personaggi per età anagrafica e sprovvedutezza, da Paola Mammini, a Tiziana Cortinovis, Luca Alcini, Gianni Guardiano, Vittorio Ciorcalo, e anche Pier Senarica (i veterani sono Franco Calogero e Edmondo Tieghi). Non sono che ipotesi, d'accordo. Ma che tipo di attacchi sarebbero toccati ai pezzi musicali, tanto per citare uno al Fox-trot di Ravel, che qui entra proprio a casaccio? Pesa un'ingombrante eredità di premesse lasciate in sospeso su questo spettacolo, che rimane indefinito in un limbo preteatrale. Il testo è immesso brutalmente nel predeterminato contenitore, con corposi tagli e senza sviluppare le situazioni: preferibilmente in fila, impalati di faccia al pubblico, gli attori enunciano le loro parti senza praticamente interpretarle, il più svelto possibile, in modo di mandare tutti a casa in meno di due ore. Gli spunti originali? Soltanto qualche dialogo con gli spettatori del protagonista (secondo Molière dovrebbe vederli, ma senza poter comunicare neanche con loro); e poi l'illuminazione psichedelica per la scena dell'agnizione, una discesa in platea dell'Avaro dopo il furto della sua adorata cassetta e lo schizzar di monete dalla medesima appena ritrovata, mentre dal soffitto piovono biglietti di banca, come scendevano stelline e paillettes nel finale del "Seduttore", prodotto recentemente sempre da Lucio Ardenzi. Ugo Tognazzi ripropone il ritratto di piccolo borghese che gli è caro, scivolando sull'avarizia di Arpagone e sulle sue battute; e così sminuisce anche la figura di questo personaggio in voluta sintonia col grigiore lineare della lettura. Per fortuna al pubblico è sufficiente la sua presenza: alla prima nazionale nella sua città bastava che l'attore si scontrasse con un suo collega per far scoppiare gli applausi.  
  (articolo a cura di Franco Quadri)  
 
 
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